| Viola canta la violenza sulle donne La Valentino parla a Tgcom
Fascino, una voce particolare e un pugno di successi travolgenti. Viola Valentino è stata un personaggio simbolo dei primi anni 80. Cantante cult che nel corso degli anni non ha mai smesso di lavorare né ha perso i suoi fan. Ora torna con un album, "I tacchi di Giada", dove affronta il tema della violenza sulle donne. "Non ho mai cantanto canzoni stupide - dice a Tgcom - nela mia carriera qualcuno mi ha male interpretata".
Se per qualcuno Viola Valentino è ancora quella che nel 1980 cantava "Comprami" e "Sei una bomba" è altrettanto vero che nel corso di tutti questi anni non ha mai smesso di fare musica e di essere suguita da un importante zoccolo duro di fan. Al contrario di quello che molti potrebbero pensare la sua è stata una carriera fatta di scelte difficili, di nicchia, seguendo spesso sonorità nuova con l'ausilio di autori importanti come Bruno Lauzi, Alberto Camerini, Dario Gay e Gennaro Cosmo Parlato.
Viola, per molti questo è un ritorno ma in realtà tu non te ne sei mai andata... No, infatti. Però ho sempre fatto scelte difficili rischiando sulla mia pelle, ricercando nuove sonorità e facendo un percorso di nicchia che è rimasto un po' nascosto al grande pubblico. La svolta è coincisa con un album del 1984 che si intitolava "L'angelo azzurro" ma ci tengo a dire che non ho mai cantato canzoni stupide. Anche un pezzo leggero come poteva essere "I pattini", del 1979, nascondeva un risvolto sociale.
E per dimostrare questo, nel nuovo Ep affronti di petto la questione della violenza sulle donne. Come sono nati questi brani? Erano nella fase embrionale da tanto tempo, al punto che contemporaneamente ho scritto un romanzo che a dicembre uscirà insieme al secondo singolo che sarà "I tacchi di Giada". In questo pezzo si parla di uno stupro vero e proprio compiuto da più persone mentre in "Daisy" si racconta di una donna che subisce una violenza psicologico-famigliare e anche di maltrattamenti.
Queste canzoni sono ispirate a storie vere? Sì, anche se abbiamo usato nomi di fantasia, Daisy e Giada esistono realmente. Sono molto amata da un pubblico gay, trans, transgender e in questo ambiente ho conosciuto queste due sono due ragazze, una del sud e una del centro Italia. Ho raccontato agli autori le loro storie e sono stati molto bravi a ridurle in brani da poco più di tre minuti.
In copertina è raffigurato un piede nudo. Che significato ha? Simbolicamente è il piede di Giada, spogliato di tutto, comprese le scarpe che sono alla base dell'aggressione. Perché questa è avvenuta attraversando un parco per andare a una festa: gli si ruppe il tacco e fecero prima a prenderla. Sul retro invece ci sono io con una maschera e rappresento qualcuno che non si vuol far vedere e non riesce a lanciare pubblicamente l'appello per aiutare se stesso e gli altri.
Guardando alla tua carriera e al tuo percorso nella canzone d'autore, non pensi di essere stata sottovalutata? Sicuramente non dalla gente, forse da qualcuno degi addetti ai lavori. Probabilmente qualcuno non si è messo ad ascoltare attentamente quello che ho cantato e nemmeno la mia evoluzione vocale. Non dimentichiamo che io parto da modella. Una evoluzione che si sente passo passo e "I tacchi di Giada" credo che la conclamino definitivamente. D'altro canto i miei attestati di stima li ho raccolti da altre parti: se nel 2000 Bruno Lauzi ha voluto dare "Barbiturici nel Tè", il suo ultimo pezzo, a nessun altro che non fossi io, un perché ci sarà. Oppure quando un sedicenne che non sa chi sono, viene a un mio concerto e poi viene a chiedermi l'autografo in camerino. Questi trent'anni di lealtà e umiltà mi ricompensano in questo modo.
Dal 1979 a oggi, come è cambiato il mondo della discografia? E' un disastro. Una volta facendo un disco si diventava ricchi, adesso è difficile non solo venderlo ma persino far sapere che lo hai fatto. Nel 1980, quando cantavo "Comprami" c'erano moltissime trasmissioni e manifestazioni nelle quali potevi proporre le tue canzoni ed era tutto molto più semplice, ormai resta solo Sanremo, tutto il resto è scomparso, dal Festivalbar a Saint Vincent. E le radio, che trent'anni fa venivano a pregare di dar loro dei singoli da passare, oggi ti sbattono la porta in faccia dicendoti che "non sei del loro target".
E in televisione? Lì le cose non vanno meglio. Se anche una trasmissione ti invita o non ti fanno cantare e al limite citano il titolo del lavoro che hai appena pubblicato, oppure, dopo trent'anni, mi chiedono di cantare ancora "Comprami". La musica tira molto nei talent come "Amici" o "X Factor". Non ho niente contro questi programmi, anzi, mi fa piacere se vengono lanciati dei nuovi talenti. Ma quelli sono spazi esclusivamente per i giovani: diamo un po' di spazio anche a noi adulti!
Tu ci hai provato con "Music Farm" qualche anno fa. Come è andata? Un'esperienza a dir poco negativa, sia dal punto di vista umano che artistico. Non ho fatto nemmeno in tempo a capire dove mi trovavo e cosa facevo che sono stata massacrata in diretta dalla Bertè. In quel periodo avevo anche un esaurimento nervoso, che mi stavo gestendo senza pubblicità, ma sicuramente non mi ha aiutato. Il perché di quella aggressione non lo abbiamo mai capito. Ha fatto allusioni pesanti, ha detto che le mie canzoni non erano nulla e poi che non mi conosceva. Io spero che abbia fatto quello che ha fatto in un momento di amnesia. Non siamo mai state amiche, ma ci siamo conosciute e vissuto tante cose insieme.
Quello era un reality che presentava personaggi musicali di un tempo e non ha funzionato. Come mai? L'Italia è l'unico paese che non riconosce i suoi miti. Mi dà fastidio usare questi termini includendomi ma, se togli Vasco Rossi e pochi altri, da noi se superi i 40 anni sei vecchio mentre negli altri paesi ti fanno un monumento. E' una cultura diversa. Allargando il discorso si potrebbe dire che manca la cultura del lavoro e del rispetto per il lavoro. Perché, non parlando di talent ma di reality, trionfa chi non sa fare una sega e così capita che in una discoteca dove potresti cantare tu non ci sia spazio perché ospitano uno del Grande Fratello che non sa fare niente tranne una firma ma quella basta per fare autografi e attirare gente.
Massimo Longoni
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