BEATRICE ANTOLINI

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frAgileNota
icon13  view post Posted on 2/10/2008, 11:00




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Dopo il primo album BIG SALOON e svariate collaborazione (Baustelle,...) questa brava, originale e solitaria cantautrice/compositrice italiana è pronta a regalarci il secondo album


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COSA DICONO DI LEI:

JAM
(...) Non è il quanto, è il come. Che l’artista bolognese sappia suonare con apprezzabile padronanza e personalità qualsiasi strumento le capiti a tiro ci sorprende meno della sua capacità di pensare quello che poi ha messo in musica. In questo disco non c’è un solo arrangiamento che sia prevedibile, il bel gusto melodico che pervade il tutto lascia ampio spazio a qualsiasi deragliamento repentino e pestifero sulle sette note. (...) Un bell’esempio di come l’immaginazione possa re-inventare i pentagrammi.
(Rossella Bottone)

ROCKERILLA
Beatrice Antolini, pianista, cantante e molto altro ancora, alle prese con la sua epifania discografica. Una rivelazione. Un microcosmo di canzoni formalmente spurie, ostinatamente anarchiche e inevitabilmente curiose. Come una scombiccherata sinfonia pop orchestrata da un rappresentante di strumenti giocattolo e un rigattiere specializzato in reperti di modernariato sonoro d'accatto. Arte povera di mezzi e ricca di idee che fa pensare ad un Paolo Conte o a un Jerry Lee Lewis in gonnella alfabetizzati alla scuola degli Stereolab o affinacati dal più improbabile degli orchestrali: Marco Fasolo dei Jennifer Gentle. Una drag queen, allora? Macchè: una sirenetta in gilet e speroni.
(Elio Bussolino
Nel Saloon di Beatrice Antolini si fanno incontri inaspettati. Ci ritrovi la Carmel di “The Drum is Everything” sorseggiare una birra insieme all’ex tastierista di Bjork Leila e ti sembra di riconoscerle mentre si raccontano aneddoti sulle rispettive vite, tra i ritmi di “Bread and Puppets” e le movenze sinuosamente elettroniche di “Moved from a Town”. Poi intravedi la sagoma ingombrante di Vinicio Capossela dietro il pianoforte di “Topogò (Dancing Mouse)”. Ma è solo un effetto ottico. Tutto il Saloon lo è. Un mondo di fantasia creato nella cameretta della stessa Beatrice che canta e suona praticamente da sola tutti gli strumenti del disco (a dar una mano c’è Marco Fasolo dei Jennifer Gentle). Se “Big Saloon” uscisse per la Too Pure si parlerebbe di risorgimento per l’etichetta inglese.
(Roberto Mandolini)

BLOW UP
(...) La fantasia di Beatrice Antolini dà alla luce un incrocio arioso tra ragtime, pop ed elettronica facendo saltellare gli inquilini bianchi e neri del suo piano. Dotata di una capacità melodica assolutamente non comune, la Antolini – con la sua voce birichina da membro del piccolo popolo – firma un album che è un pastiche eccentrico e carnevalesco (il trittico quasi perfetto Bread and Puppets, Monster Munch e Topogò) che prende a prestito qua e lì il refistro del circense e dello psichedelico (Applebug and His Doll) pur non disdegnando originali momenti di quiete (Moved from a Town o Turtle and Peach in Love).
(Marina Pierri)

CARTA
(...) Beatrice Antolini, una piccola “selfwoman” che ha registrato il suo “Big Saloon” tutto da sola e in casa sua, riuscendo a stupire per le atmosfere da musica per bambini che vogliono giocare e sognare. Una specie di Amelie alle prese con il suo favoloso mondo: pianoforte, computer, chitarra e quant’altro.
(Rocco Rossitto)

RUMORE
Alcune realtà della nostra scena indie rock stanno intrecciando rapporti di collaborazione che potranno solo dare buoni frutti. Accade con Beatrice Antolini, stranita cantautrice e polistrumentista (piano, chitarra, synth) che si avvale, tra gli altri, per questo esordio sull'etichetta dei Father Murphy, della collaborazione al mix di Marco Fasolo dei Jennifer Gentle. Gruppi che, con gli amici Franklin Delano, stanno da noi disegnando i confini di una propaggine virtuale di Old America country pscichedelica. A tale geografia visionaria l'autrice, sorpassando tutti a sinistra, contribuisce a sorpresa con una fantasiosa girandola di suoni e melodie, che guardano attraverso occhiali lo-fi a vecchi fantasmi tra saloon, circo e vaudeville così come agli sghembi arrangiamenti e multietnici del primo Van Dyke Parks. Un ciclo di tredici canzoni intonate con voce vispa e sognante, in un caleidoscopio di sfaccettature infantili e colte, ilari e malinconiche, primitivistiche e avant-pop. Ben fatto.

FUORI DAL MUCCHIO
Beatrice Antolini è un po' come la sua musica: veloce, colorata, fantasiosa, ricca di sfumature. Un'artista appassionata ma con le idee chiare, dal carattere deciso e perennemente in movimento, titolare di ottimo esordio come “Big Saloon” (Pippola/Audioglobe) e per nulla spaventata – almeno a giudicare dalle poche battute che seguono - di vestire il ruolo di “rivelazione” dell'underground di casa nostra.
(Fabrizio Zampighi)

ROCKIT
(...) Cerchiamo di spiegare come mai questo è uno dei migliori dischi italiani dell’anno. Inizialmente vieni colpito dal suo eclettismo o, per meglio dire, dal suo incessante tour de force stilistico che ti fa girare su una giostra in continua evoluzione. Si va dalla psichedelia alla musica circense, dalla musica da camera a quella elettronica, dall’indie pop al vaudeville, con pure delle citazioni di hard rock, tex mex, honky tonk, rhithm’n’blues… Pensi a dei riferimenti e ti vengono in mente nomi importanti come Tom Waits, Van Dyke Parks, oppure quel mattacchione di Serge Gainsbourg. Di certo vale la pena di nominare anche Charlie Chaplin, Tim Burton e Alice nel paese delle meraviglie (delle sue pastiglie): non sono musicisti, ma la loro influenza si sente eccome. Ciò che stupisce maggiormente, tuttavia, è la qualità del materiale, la quantità delle melodie accattivanti, la freschezza delle idee, i passaggi vocali mai scontati (seppur con qualche limite della voce in sé), i fraseggi strumentali al tempo stesso contorti e accattivanti… Un vero e proprio “Big Saloon” di musica, perfettamente in grado di resistere ai ripetuti ascolti e, anzi, incentivarli ogni volta di più. In conclusione non resta che applaudire e acclamare un fragoroso Bene! Brava! Bis! (...)
(Massimiliano Osini)

SMEMORANDA
rendete Paolo Conte e tagliategli i baffi, costringetelo a prendere dell'acido e a recarsi poi in una di quelle famose cliniche di Casablanca. Tornerà indossando una gonna colorata e la voce non sarà più quella di prima, ma più dolce e birichina. Forse non vi ringrazierà, ma di sicuro farà un disco come Big Saloon, la sorpresa più gradita dell'anno.
Suona di tutto la bella Antolini (sì, perché è pure bella), capace di cambiare marcia senza perdere la compattezza e il filo del discorso. È un po' come quel pazzo e geniale disco dei Jennifer Gentle, Valende (non a caso in questo cd c'è lo zampino di Marco Fasolo e la Antolini suona nell'ultimo lavoro del gruppo veneto), ma Big Saloon sembra ancora più genuino.
Giocattolosa partenza, buona per una fiaba dark di Tim Burton, con vocette, marcette e melodie strane; secondo pezzo da piano bar, da saloon di un cartoon western alla Bruno Bozzetto; terzo pezzo tra Paolo Conte e un videogame, con la mia coda che non può proprio fare a meno di tenere il tempo…
Big Saloon è tutto così, con un piano sempre magnificamente presente, atmosfere particolari, giochi con la voce e con gli altri strumenti che solo chi ha un'ottima padronanza musicale può permettersi, citazioni alte e citazioni basse. La variopinta copertina di gusto pop dice molto sulla musica della giovane ragazza di Bologna, autrice di un esordio fatto in casa meritevole di molte attenzioni.
Chiapperi se mi piace questo Big Saloon!
Alligatore

VITAMINIC
Nella sua striminzita e fantasiosa biografia, Beatrice Antolini fa riferimento al West, che in effetti titola il suo album di debutto (che il 5 maggio arriva nei negozi grazie ad una collaborazione tra Pippola Music ed Audioglobe) : Big Saloon. Di un saloon in piena regola - di quelli da scenario ultraclassico - però non si tratta. Nel luogo sonoro di questo disco spiazzante ed eccellente non ci sono sedie di legno e cowboys sporchi che sputano tabacco, e non ci sono cavalli parcheggiati fuori che bevono da pozze di acqua fangosa. Di vero, qua dentro, c'è solo un pianoforte. Il resto è un cartoon dai colori appena psichedelici, che gioca con le forme alla stessa maniera con cui gioca con le melodie: contraendole, ampliandole a dismisura, riverniciandole di colori flou per poi risucchiarle nel nero. Più che una bella intrattenitrice avvolta in abiti succinti e dipinta di rossetto rosso fuoco, dunque (di quelle che l'archetipo western ha consegnato alla cultura di massa) Beatrice è una prestigiatrice, un illusionista bambina e terribilmente talentuosa, che nell'arco di poco più di una quarantina di minuti riesce a mettere insieme frammenti assolutamente divelti di ragtime, vaudeville, psych-folk, psych-pop, elettropop e pop-e-basta. Tutti gli elementi di questo pastiche ammontano ad un totale di eufonia perfetta, che ricorda l'armonia dei collage dei Fiery Furnaces: di Big Saloon non riesco a stancarmi, non voglio sapere di stancarmi. Lo ascolto e lo riascolto senza alcuna intenzione di comprenderne la geometria casuale e femminile, senza troppa curiosità di scoprirne il prestige. Come a teatro, forse come in un saloon se proprio ci tenete, ad esibizione finita mi limito a sorridere ed a battere le mani.
(Marina Pierri)

ROCKON
La poesia. L’affascinante eleganza di Beatrice Antolini, la leggerezza teatrale nelle note di una giovane artista italiana il cui esordio discografico, “Big Saloon” poggia le proprie basi su di un pop che profuma di vintage. I colori pastello, il ritratto di una melodia confusionaria, psichedelica, la precisione e la cura dei suoni, il ritmo jazzy, Beatrice Antolini, la musica nelle sue mani. (...) è il memorabile debutto artistico di una raffinata ed estrosa polistrumentista quale Beatrice Antolini, il fiore italiano del 2006.
(Francesco Diodati)

ONDAROCK
Entrare nel Big Saloon, sedersi a un tavolo, voltare il proprio sguardo per trentacinque minuti esatti verso la giovane musa, giacente al di là del piano nero, equivale a giocarsi tutto al primo giro di ruota. (...) Big Saloon è un lavoro che ripone nelle antiche divagazioni sonore dei vecchi cortometraggi animati tutte le sue cesellature, imbastendosi di modernismo elettrico nelle giuste proporzioni.
Beatrice Anolini è un’artista da tenere d’occhio, da riscoprire nell’immediato futuro, una delle pochissime ragazze italiane in circolazione in grado di stupire.
(Giuliano Delli Paoli)

ROCKLAB
Questo 'Big Saloon' di Beatrice Antolini è sicuramente una della uscite più interessanti della scena underground italiana da qualche mese a questa parte. Oh, che bello… una volta ogni tanto l’amata penisola riesce ancora a stupirmi. Tra le tracce che lo compongono peschiamo un po’ di tutto: jazz, elettronica, cantautorato, richiami al ‘900 ormai dimenticato, il tutto incollato da una fresca matrice indie pop notevolmente e piacevolmente innovativa (...)Balzano alle orecchie i particolari arrangiamenti della nostra: carnevaleschi, eterogenei, mai prevedibili, infarciti con mille strumenti diversi (solo la Antolini ne suona oltre una decina), vocine fancazzare ("monster munch"), ma anche profondamente intimiste ("coca cola shirley cannonball"), quando non gibbonsiane ("moved from a town").
(Andrea Gezzi)

MESCALINA
(...) Seduta in un angolo ad un pianoforte, martella impetuosamente sullo strumento ricreando magiche situazioni dai forti tratti psichedelici. Al suo fianco due elitari musicisti la seguono imperterriti in questo “folle” viaggio musicale. Benvenuti al “Big saloon”, album d’esordio di Beatrice Antolini. È il primo disco e come ogni primo disco che si rispetti è una sintesi di fare e di vivere musica, un cocktail sonoro di stili ed influenze differenti che la songwriter dosa con eleganza tra le righe delle sue canzoni. Un disco inconsueto, un “dipinto” musicale sul filone indie-pop e che si manifesta per le pennellate jazz, per gli accenni country, per i richiami al vaudeville, oltre che per le evidenti sfumature dall’impronta psichedelica, il tutto prodotto di una sperimentazione ben accurata. Una maniera di suonare e cantare molto ricercata ed inusuale per la nostra scena musicale. (...)
(Alfonso Fanizza)

MUSICCLUB
(...) Con uno stile tutto suo questa giovane chanteuse si impone all’attenzione del pubblico con una miscela giocosa e sghemba di pop, jazz, country, folk, psichedelia e tanta tanta magia. Questo disco è davvero bello tutto e ciascuna canzone è concepita con tale gusto da far impallidire tutti coloro, anche i grandi, che si sono cimentati con atmosfere raffinate, fra jazz, canzone da music hall, country-rock-psico-acustico e easy listening.
(Ian Della Casa)

COOLCLUB
(...) Beatrice Antolini, all'esordio come solista, ci confezione con Big Saloon un caleidoscopio sonoro in formato digipack. Fa subito impressione leggere la miriade di strumenti suonati tutti dalla ragazza, una polistrumentista a tutti gli effetti. Sin dai primi minuti di ascolto si è immersi in un mondo di psichedelia circense di trapezisti ed equilibristi, cowboy, topolini e scimmiette, fenomeni da baraccone e personaggi fiabeschi...un genere indefinibile, come assistere ad una grande abbuffata di film comici di inizio secolo mista alle sventure di Will coyote. Tra le tredici tracce del disco è stupefacente TOPOGò, ideale per una festa di topolini. Per questo lavoro Beatrice Antolini si avvale anche dall'aiuto del Jennioer Gentle Marco Fasolo che lascia la sua impronta. In definitiva un gran disco, fantasioso e fantastico, per i momenti più allegri delle nostre giornate.
(Federico Baglivi)

INDIE EYE
(...) Metti su il cd, composto da tredici brevi brani, e ti ritrovi immerso in un’atmosfera da cabaret dadaista o in quella di un circo inizio ‘900 in un susseguirsi di attrazioni e fenomeni da baraccone o in un film noir-surreale di Tim Burton dove belle e bionde bambine camminano a braccetto di un mostro in mezzo a una putrescente palude. E una voce tenera di fanciulla indifesa infatti ti prende per mano e ti trasporta dantescamente in volo in questo turbinio di personaggi frutto della dolce mente perversa di Beatrice nel suo Saloon delle meraviglie: pupazzi animati, sinistri topi danzanti, tartarughe e pesche innamorate, bachi di mela con bambole sotto braccio, conigli dagli occhi furbi e inquietanti creature dark come coca cola shirley cannonball e le note che accompagnano questa galleria escono tutte dalla camera e dalle mani di Beatrice/Alice che riesce a suonare strumenti poco ortodossi quali un armadillo, un posacenere, un lapis, un metronomo e uno sgabello. (...)
(Roberto Balò)

SENTIREASCOLTARE
La musica di Beatrice Antolini è un po’ come quei clown a molla che escono dalla scatola all'improvviso: qualcosa che non ti aspetti, un battere del cuore accelerato, la meraviglia della plastica colorata, forse anche un vago timore sottocutaneo. Non soltanto per la proposta musicale, in generale vibrante, giocosa, psichedelica, trascinante, quanto per la totale assenza, al suo interno, di punti di riferimento facilmente identificabili. L'etica alla base di Big Saloon è tutta qua, nel suo essere sintesi di idee in libertà, coacervo di stili e maniere - pop, psichedelia, ragtime, pianismo di classe, jazz e molto altro ancora -, sentire creativo e con un notevole fiuto per la melodia, vaporoso e sensuale sussurro. Una facilità di linguaggio che sposa con semplicità e invidiabile cognizione di causa la liquida rapidità del pianoforte in Bread & Puppets, il cocktail di sconclusionate parabole barrettiane e malinconie cubane di Monster Munch, le morbidezze espansive di Turtle & Peach In Love, il blues sotto anfetamina Hi! Goodbye!, il valzer a 33 giri (suonato a 45) di Applebug And His Doll. Dove non arriva la valigia piena zeppa di strumenti dell’Antolini - piano, sintetizzatore, basso, batteria, percussioni, cello, harmophone, armadillo, portacenere, ecc.-, supplisce la classe imperitura di Marco Fasolo - per chi ancora non lo sapesse, 50 percento dei Jennifer Gentle -, abile nell'unire i brandelli di una creatività caracollante - ma meravigliosamente viva - nel segno di un suono che è ormai marchio di fabbrica.
(Fabrizio Zampighi)

ONDALTERNATIVA
Davvero interessante l’album di debutto per la cantautrice bolognese Beatrice Antolini, accompagnata in quest’occasione dell’etichetta Madcap Collective. Dopo due anni di produzione l’artista è capace di stupirci con sonorità vintage rivisitate, riadattate e ricreate per i giorni nostri; grazie alla sua grande creatività, la cantante-pianista riesce a far emozionare l’ascoltatore proponendo un suono costruito attraverso gli strumenti più svariati: passando dal pianoforte, alla chitarra, al sintetizzatore, ai barattoli vuoti e qualsiasi altra cosa possa produrre un rumore.
Si passa dall’incalzante e veramente divertente “Topogò(dancing mouse)” ad una più rilassata “Hi!Goodbye!”, da notare anche “Moved from a town” e “Jack”, capaci di creare un’atmosfera unica e intensa. Ulteriore nota positiva va data al brano d’apertura del CD “Bread and Puppets” che passa da ritmi giocosi e andanti, a tempi più pacati e riflessivi, un’altalena di sonorità ben accostate. In generale si può dire che “Big Saloon” non è un album alla portata di tutti, ma che se ascoltato più volte non stanca, anzi ad ogni ascolto si possono trovare sempre nuove sfumature alle quali è possibile dare interpretazioni personali.
Estremamente divertente, l’album rispecchia l’anima giocosa della cantante e la sua voglia di divertirsi attraverso la musica.Se qualcuno avesse voglia di uscire dagli schemi di ascolto che ci vengono continuamente proposti, non può assolutamente perdersi questo strano e stralunato “Big Saloon”, dove tutti trovano il loro posto!
Ottavia "Aivy"

KOMAKINO
Vi lascia stupefatti nelle Sue scelte e naturalezza. E' come assistere in un teatrino ad un bagno lisergico di cucchiaini danzanti in sincro con Beatrice Antolini, cantante, pianista e su altri diversi strumenti, con talento e divertimento. Un misto gustoso di zucchero a velo jazz (Michael Night), tappeti di suoni ricercati per sporcare la perfezione twee-pop raggiunta, schegge psichiche anni 60 (senti il finale di Monster Munch). Brother's bone mi fa pensare a The Gentle Waves tanto è godibile, - Turtle and Peach in Love invece a quanto piacerebbe a Kazu Makino dei Blonde Redhead visto il melancolico giro Gainsbourg-iano. Riule Ule, Applebug and His Doll, come l'iniziale Bread and Puppets sono delle gemme, e credo che insieme a Denise (di The Bid), Beatrice sia una delle Artiste più rare in bellezza dell'indie no_strano, - e soprattutto, Big Saloon è un album debutto completo, un bel pezzo d'Arte sonora.

MUSICBOOM
Questo esordio di Beatrice Antolini, giovane pianista (coma ama definirsi lei stessa) alle prese con varie declinazioni di psichedelia giocosa, è un disco pieno di idee, pieno di sana voglia di suonare e farsi suonare. La sua giovane interprete e autrice, che ha suonato praticamente quasi tutto il suonabile in queste tredici tracce, è sinceramente dotata di talento, capace di spunti melodici memorabili, come di invenzioni strumentali che sorprendono. D'accordo, non stiamo parlando di rivoluzioni copernicane, ché in quel caso avremmo già gridato al miracolo, ma nel povero panorama indie dei giorni nostri, già avere delle idee che non siano necessariamente derivative ci pare cosa degna di nota. Di sicuro dentro a questo Big Saloon tutto deriva da altro, ma è talmente vasto l'orizzonte da cui si va a pescare che la materia musicale sembra essere nuova: psichedelia, ragtime, jazz negro, indie-pop, chitarre bagnate di sud degli Stati Uniti, blues, vaudeville e un po' di improvvisazione e anche Eric Satie.
Ma, c'è un ma. Perché la sensazione è che Beatrice avesse troppo da dire. E lo abia detto tutto subito. Il risultato è che tutte le sue brillanti idee sono compresse in pezzi che non vanno mai oltre i tre minuti, quando le idee che contengono avrebbero bisogno di essere sviluppate in spazi più aperti e consoni alle sonorità, che comunque rimangono incastrate tra il Tom Waits più colto, il Nick Cave cantautoriale e l'indie pop. Big Saloon assomiglia a uno bloc notes pieno di appunti, dove la fantasia sicuramente vulcanica di Beatrice si lascia andare senza limiti. Alcune idee sono di assoluto valore: il quasi shuffle di Michael Night, le atmosfere ombrose di Brother's Bone, il retro-futuro di Topogò (dancing mouse). Ci rendiamo conto che l'esordio sia sempre un momento in cui si cerca di dire molte cose, ma crediamo che le tredici tracce rischino di disperdere. Forse avrebbe giovato “dare aria” soltanto ad alcuni dei brani, magari sfruttandone per qualche esplorazione in più le buone melodie. Di sicuro siamo curiosi di vedere come evolverà questa vicenda: non sappiamo ancora se passi di qui il futuro della scena italiana. Di sicuro Beatrice Antolini non la lascerà indifferente.
Marco Boscolo

GLASSHOUSE
Sentendolo per bene, ascoltandolo a volumi esorbitanti, sento dentro di me un fremito e cercherò anche questa volta di limitarmi per non passare per la solita groupie.
D'altronde ascoltare cd del genere, suonati e prodotti da un artista italiana non è cosa di tutti i giorni, né ci si spiega come una tale produzione possa passare così inosservata senza far scoppiare un “caso” nella stessa musica italiana.
Il cd di Beatrice si può definire in una semplice parola, “geniale”, per tredici piacevolissime tracce ci coinvolge con il ritmo dei suoi prototipi, con la forza delle sue sperimentazioni e piccole sorprese incartate con la gioia di chi vive la musica come un gioco, una sperimentazione in cui perdersi con attenzione, senza dimenticare a chi ci si rivolge.
Ascoltando Big Saloon non ho potuto fare a meno di notare alcune “somiglianze” con un altro artista Italiano, Vinicio Capossela. Perché, seppur il genere, la voce e tutto il resto non permetta un accostamento, la voglia di sperimentare e il gioco sonoro e vocale creato rimanda al grande cantautore senza affanno. Beatrice dimostra di avere, come Capossela, idee valide a profusione; si potrebbe gettare nella sola produzione ed esaltare gruppi spenti da tempo senza problemi, la sua genialità basterebbe a far risplendere qualsiasi artista.
Il cd non ha veri e propri momenti di picco in realtà, lo standard delle canzoni è sempre abbastanza alto, più che altro ci sono tracce magari più normali, sia nella struttura che nella composizione sonora ma non si può certo parlare di “brutte canzoni” o “cali”, sono canzoni validissime ma che non reggono il confronto con canzoni dove la genialità è a mille; se Tim Burton incontrasse questa donna nascerebbe una collaborazione immediata, probabilmente si sposerebbero, tanto al giocosità delle migliori tracce si sposa alla bellezza acustica. E anche in questo il confronto con Capossela è valido: tanto Vinicio è ispirato dal genio di Fellini quanto Beatrice sembra godere della luce di Burton.
Bread & Puppets apre il cd con forza e già al bridge, qualsiasi ascoltatore riconoscerà di trovarsi di fronte ad un album fuori dal comune.
Topogò (Dancing Mouse), ha il gusto della spensieratezza e l'organetto soffuso di sottofondo impreziosisce la traccia verso la fine, canzone dopo canzone iniziamo a notare tutti i rumoretti, gli strilli e gli ammennicoli curiosi che Beatrice utilizza per condire di imprevedibilità le sue creazioni.
Monster Munch è forse la canzone più rappresentativa dell'artista, nel bridge, sarà forse più chiaro l'accostamento caposseliano sopracitato.
Turtle and Peach in Love, vi rimanderà invece ad un film mai uscito di Tim Burton, potreste già vederli mentre guardano lo storyboard e commentano immagini e suoni.
Hi! Goodbye! È in puro stile Antoliniano e oramai siamo entrati nell'ottica di questo termine, è già diventata punto di paragone.
Le tracce che concludono l'album non si smentiscono affatto: dolcissimo il ritmo di Applebug and His Doll, invasivo quasi il ritornello di Brother'sBone.
L'album sorprende ed incanta, ascolto dopo ascolto.
Fiero di poter dire d'averla conosciuta e d'averle stretto la mano, fierissimo d'aver recensito un cd che chissà tra quanto tempo verrà considerato dal grande pubblico come una delle produzioni più interessanti ed affascinanti di questi tempi.
Questa meraviglia è in vendita a soli dodici euro.
Marco Mancini

ROCKSHOCK
Che ci fanno jazz ed elettronica, pop d'autore e canzone tedesca d'inizio '900, fianco a fianco nella stessa canzone? Semplice, vanno a comporre uno dei dischi italiani più esaltanti dell'anno.
Chi è Beatrice Antolini? Una che ce la mette tutta per soprendere il suo pubblico, canzone dopo canzone, proponendo senza soluzione di continuità, ma con un lucido disegno strategico, jazz ed elettronica, indie d'autore e canzone tedesca dei primi del '900 (a tratti ricorda i Dresden Dolls).
Sono gli arrangiamenti, però, che rendono prezioso questo disco. Ricchissimi di fantasia e di strumenti, di cui almeno una decina suonati da Beatrice stessa, con la complicità di Marco Fasolo (Jennifer Gentle), la Antolini non disdegna di accendere anche qualche synth proveniente direttamente dagli anni '80, a dar man forte al pianoforte, re incontrastato di questo disco e probabile protagonista della sua fase di composizione.
Big Saloon non solo non stanca, ma svela sorprese su sorprese ad ogni ascolto; davvero brava Beatrice Antolini che però in alcuni (pochi) passaggi ci ha dato la sensazione di uno studio fatto a bella posta per sorprendere, più che un naturale sfogo di una creatività comunque esplosiva e scoppiettante.
Giovanissima, bravissima, con un luminoso futuro davanti.
P.S.: cercatela in giro per l'Italia questa estate, oppure raggiungetela a Roma alla galleria Alberto Sordi l'8 settembre, per la Notte Bianca. Siamo sicuri che ci sorprenderà ancora di più di quanto ha già fatto su disco.
Massimo Garofalo


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INTERVISTA DI Sandro Giorello

Io e Beatrice ci incontriamo a Milano per parlare del suo ultimo "A Due", il nuovo album in uscita su Urtovox il prossimo 17 ottobre. Alla prima domanda ci tiene a ribadire che non mi ha ancora perdonato per come ho riportato le sue parole nella scorsa intervista, due anni fa. Un po' scherza un po' sta sulla difensiva. E appare sotto una luce diversa, non più solo come una brava - e bella - cantautrice. Beatrice Antolini è una donna aggressiva, ostinata e determinata a raggiungere il suo obiettivo: vivere di musica. Altro che Alice nel paese delle meraviglie.


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Parliamo del disco nuovo?
Ok, partiamo da questo disco nuovo ma non mi fare più domande sulle donne perché non ti rispondo (ride, NdA). [Si riferisce alla scorsa intervista di Rockit dove ha affermato che molte donne della musica "fanno schifo", nonostante il tono fosse esplicitamente ironico si scatenò una lunga discussione che superò i 99 commenti, NdR]

Sono passati due anni…Si a distanza di anni… Ormai tutti mi dicono che ce l'ho con le donne (ride, NdA). Dio Cristo, non ce l'ho con le donne! Sono una donna come faccio ad avercela con le donne? Io amo le donne, sono le donne che non amano me.

Parliamo di "A Due". Si sente la differenza dal precedente disco, è più maturo.
Maturo è una parola grossa prima di tutto (ride, NdA). La maturità è ancora una cosa da raggiungere, però, sì, posso dire che c'è molta differenza rispetto a "Big Saloon".

E secondo te dove? I brani sono meglio collegati tra di loro, c'è più "ordine"?
Scusa, com'è la domanda?

Cosa distigue "A due" – dove intravedo un disegno, una struttura più definita - da "Big Saloon" che mi sembra più una semplice raccolta di pezzi?
A partire dal nome: A due (lo pronuncia in inglese, NdA). Vuol dire tante cose: la necessità di fare un disco, il debito che ho io rispetto alla musica che ascolto e le cose che mi piacciono. E poi che ha più personalità: ci sono dei pezzi più intimi, dei pezzi più ritmici. Volevo metterci delle cose diverse, meno allegre se vuoi, meno schizofreniche (ride, NdA)

Secondo te questo disco è meno schizofrenico? Ripeto, c'è più ordine?
No, io non ordino quasi niente, quello che succede è completamente spontaneo e abbastanza affidato al caso. Ordinare non fa parte dell'ispirazione musicale, o almeno è così che la vedo io.

E' più aggressivo rispetto all'altro…Porca puttana… L'hai sentito? (ride, NdA)

E da dove arriva questa cattiveria?

Non è cattiveria, è un po' di nervosismo. Per tanti anni ho sentito un certo tipo di musica, anche piuttosto pesante direi, quindi perché non metterla insieme al resto?

Ci sono meno pezzi in stile anni 20.
Guarda… quei pochi presenti sono il proseguimento di "Big Saloon", li ho scritti in quel periodo.

E' uno stile che ti piace ancora o man mano lo abbandonerai?
No, dal vivo mi piace fare i pezzi in questo modo ma vorrei anche provare altre vie.

Nel comunicato stampa citi i Talkin Heads, in realtà io li ritrovati giusto in due pezzi: "A New Room For A Quiet Life" e "Doube J".
Guarda… solo in "New Room…". I Talkin Heads fanno altre robe, beati loro (ride, NdA)

Ho trovato un foto in rete dove sembri Grace Jones nell'85, ovviamente bianca. Potrebbe essere il retro copertina di "Y" dei Pop Group. Hai riscoperto un amore per il tribalismo?
Questo disco è tribalissimo. Ho usato le congas, ho fatto delle cose più terrene, mi sembravo troppo… Hai presente aria acqua terra fuoco? "Big Saloon" potrebbe essere aria, acqua e un po' di fuoco. "A Due" è terra e fuoco. Lo sento più sanguigno, ho suonato con le mani tante cose, è tattile.

Secondo te è un disco difficile?
…potrei dirti una cosa ma poi tu la riporti male (ride, NdA).

Ma piantala…
Scherzo… sicuramente rispetto alla media di quello che esce in Italia dire di si, ma rispetto alla musica internazionale, gli anni ottanta, i Talkin Heads e altri riferimenti... non è un disco particolarmente difficile.

Per me è strano il fatto che i tuoi dischi abbiano raggiunto una buona fetta – ovviamente non enorme, ma di sicuro notevole per un'artista emergente – di persone, pur essendo così sperimentali.

Perché hai poco rispetto dell'essere umano (ride, NdA). Tu devi pensare che l'essere umano è attratto da… in passato c'erano delle cose complicatissime, la gente era interessata a cose complicatissime. Al giorno d'oggi si tende sempre a togliere, togliere, togliere e alla fine non rimane niente.

Quanto c'è della tua vita privata in questo disco?
Oh madonna… Tutto. Questo disco è la mia vita privata, poi ovvio rimane nascosta dalla musica. Suoniamo quello che viviamo.

E i testi?
Questa volta i testi c'entrano moltissimo con me. La cosa assurda è che a volte sono nati prima ancora delle canzoni, prima ancora che capissi cosa volevano dire. Sono sempre fantasiosi e magari non raccontano fatti di vita vissuta, ma parlano più di me.

Tornando sul titolo, perché chiamarlo "A Due" se l'ha scritto e suonato tutto da sola?
A due… per dirla in modo semplice: "A" l'iniziale del mio nome, "Due" è il mio secondo disco. Potrebbe essere "A B", le prime due lettere dell'alfabeto. Potrebbe essere "A 2" l'ottava musicale nel linguaggio internazionale. Potrebbe rappresentare una doppia personalità e, come ti ho già detto, due in inglese. Essendo io italiana ma facendo musica in inglese avevo pensato ad un titolo che si potesse leggere in entrambe le lingue. E' un album sul dualismo.

Tu però sei molto orgogliosa di averlo fatto da sola…
(Lunga pausa, NdA) Più che altro... semplicemente, è brutto quando ti chiedono: ma chi ha suonato la batteria? Dio Cristo, c'è scritto, l'ho suonata io (ride, NdA). Diciamo che non è orgoglio ma voler puntualizzare che fare un disco è molto faticoso. E poi ribadire che quella sono io: con i difetti che ho e con i miei pregi, se ne ho.

Da dove arriva tutta la tua determinazione?
Dall'impegno: quando non dormi, non mangi, sei stanca, ti ammazzi di lavoro, quando non hai facilitazioni esterne ma devi fare tutto da sola, ad un certo punto tiri fuori le unghie e inizi ad esigere dagli altri un po' più di rispetto per quello che fai. Le persone che non sono nell'ambiente spesso non sanno come si fanno le cose e spiegargliele è difficile. Io tendo sovente a trovarmi nella posizione di chi difende il lavoratore (ride, NdA).

Sei molto metodica…Io sono metodica e determinata, ma ci sono dei momenti in cui ti affidi al caso. L'ultimo brano di questo disco, "Taiga", è nato improvvisato. Oltre a quello che scrivi deve anche esserci una buona dose di inconsapevolezza che ti spinga a non cercare sempre la cosa perfetta ma che ti lasci anche un po' in balia del momento.

Però non sei la classica artista con la testa fra le nuvole.
Eh… io sono così, o meglio: io vorrei essere così ma se seguissi la mia vera natura chi me le fa le cose? Quando potrò permettermelo mi rilasserò, adesso devo essere un treno.

Ci tieni a ribadire che è un lavoro.
Si assolutamente, lo è.

E come ti mantiene?
Eh… è molto dura, è difficile mantenersi e poi bisogna affrontare tante spese: c'è il materiale da comprare, lo studio da affittare…

Ma qual'è il metodo Antolini per pagare l'affitto. Fai tanti concerti?
Io quest'anno ho fatto tantissimi concerti, ho accettato qualsiasi situazione perché avevo bisogno di soldi per pagare lo studio, il disco e le mie spese. Se in futuro avrò più agevolazioni potrò decidere dove e a che condizioni suonare.

Di solito la critica che viene fatta più spesso a chi suona tanto è che prendendo date a qualsiasi cachet si inflaziona il mercato dei concerti. Il più delle volte sono gruppi "anziani" che vedono rubarsi il lavoro da giovani che vivono ancora sulle spalle dei genitori.
Io me li guadagno i soldi. Ho fatto cento date in un anno per questo. E poi non è svendersi, è un percorso. All'inizio ti devi far conoscere e quindi non ha senso fare gli snob, e poi quando arriverai ad un certo punto potrai permetterti determinate cose. Ma ci vuole molto tempo. Io adesso sono in una via di mezzo, spero che con questo disco salirò un pochettino di livello. Magari farò qualche posto più grande. Comunque non mi lamento.

Due anni fa non sembravi conoscere molto il mondo musicale italiano, ora?
Ora lo conosco anche troppo bene, credimi (ride, NdA).

Cosa ami e cosa odi del tuo lavoro?
Mi piace fare il lavoro che vorrei fare, mi piacerebbe vivere più serenamente. A volte diventa troppo.

Cioè?
Te lo dico sinceramente, questo disco mi ha un po' shoccato: mi sono impegnata tanto ma ad un certo punto mi sono dovuta fermare anche se avrei voluto aggiungere ancora molte cose. Era diventato troppo grande come fatica, come spesa, come lavoro. Quando inizi a renderti conto che ti stai rovinando la salute capisci che devi dire basta. Per questo, ripeto, ci tengo che la gente sappia che tipo di sforzo comporti fare un disco e voglio che porti rispetto per quello che faccio.

Madcap, Pippola, Urtovox, com'è il tuo rapporto con la discografia?
Beh, Madcap… saranno nel mio cuore per tutta la vita. Adesso con Urtovox sto benissimo, Paolo (Naselli Flores, proprietario dell'etichetta, NdR) è una persona meravigliosa e con lui sto benissimo, ho un rapporto ottimo. Con Pippola ci siamo frequentati poco, è stato più un passaggio...

Servono ancore le etichette?
Tutti dicono di no. Io vorrei credere ancora di si, se trovi una persona brava come Paolo secondo me può esserti molto utile.

Come risani la crisi discografica?
Io non voglio fare discorsi su quanto vanno male le cose, perché li fanno tutti. Io credo ancora nella meritocrazia musicale, se qualcuno vale davvero poi emerge. Voglio crederla così, che poi ci siano altri problemi lo so.

Tu sei ancora legata al vinile?

Al di là del vinile… se mi piace una cosa la compro, spero che facciano così anche gli altri. Io sono legata all'oggetto, senza quello sembra che tutto abbia lo stesso valore. Mi piace distinguere gli artisti dalle copertine e adoro leggere i booklet. Perchè se in un disco di Herbie Hancock c'è scritto che strumento ha usato in ogni pezzo vorrà pur dire qualcosa. Per questo per "A Due" sono stata puntigliosa: ho messo tutti gli strumenti usati, ormai non lo fa più nessuno. Io ci tenevo a scrivere tutto, perché uno strumento non vale l'altro.

Vorresti fare la produttrice?
Mi piacerebbe un sacco…

E scrivere canzoni per altri, qualche big ad esempio?
Si, lo farei senza problemi, non faccio distinzioni tra indipendente e major. Per me fare musica è Fare Musica. Io ho scritto dei pezzi a diciott'anni che vorrei vendere a qualche big super pop. Ho scritto tante cose, a me non servono più però vorrei che fossero usate da qualcuno.

So che non hai ancora fatto tour all'estero ma che vorresti farli.
Non ho tantissima voglia di andarci, ti dico: se non c'è un modo intelligente per farlo preferisco non andarci. Ci tengo molto che la mia musica arrivi anche lì ma voglio che ci arrivi con una logica. Andare all'estero per andare all'estero non mi interessa. Siccome ho visto tante band uscire fuori e suonare davanti a 2 persone, preferisco restare in Italia. Non per snobismo ma perché l'ho fatto quando suonavo con altri gruppi e so com'è dormire su un pavimento. Preferisco avere un tour bene organizzato: non avrai 200 persone di pubblico ma almeno ne hai 20, non dormi per terra ma nel sacco a pelo, insomma, voglio una cosa discreta ma ben organizzata.

DA ROCKIT
 
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